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Val di Chiana

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Castello di Civitella in Val di Chiana.

lunedì 9 luglio 2012

Arezzo, i giardini del Porcinai e la legge

Arezzo, i giardini del Porcinai e la legge

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Alcune riflessioni scaturite dai tanti interventi apparsi in queste ore, che hanno come unico file rouge i giardini del Porcinai.

Innanzitutto chi era Pietro Porcinai.
Pietro Porcinai (Firenze, 20 dicembre 1910 – 1986) è stato un architetto e paesaggista italiano, tra i più importanti del Novecento. Ha progettato sistemazioni paesaggistiche nelle scale più diverse: dal giardino al parco urbano, dall'area industriale al villaggio turistico, dall'autostrada all'area agricola. Tra i suoi oltre 1.100 progetti, realizzati in vari paesi del mondo, vi sono anche giardini-paesaggio, cioè giardini nei quali l'uomo sembra non aver fatto nulla. Conseguito il diploma di perito agrario lavorò in Belgio e in Germania (1928-1929). Tornato a Firenze, dopo un'esperienza di lavoro presso l'Istituto di Agraria di Firenze (1932), lavorò con il vivaista pistoiese Martino Bianchi. Ritornato in Germania, fece il suo vero ingresso nel mondo della paesaggistica e conobbe i più importanti architetti europei del giardino (Fritz Enchke, Karl Foerster, Gustav Luttge, Russel Page, Geoffrey Jellicoe, René Pechère, Gerda Gollwitzer), ne apprezzò le opere ed ebbe la possibilità di confrontarsi con il loro metodo di lavoro, le loro tecniche colturali, le loro soluzioni formali. Dopo il 1949, ebbe l'opportunità di fare grandi esperienze internazionali: il progetto delle aree verdi al quartiere Hansaviertel di Berlino (1956); la consulenza per Abu Simbel (1963); il progetto per la sistemazione esterna del Centro Pompidou (1973); il progetto dei parchi delle città dell'Arabia Saudita (1975–1976); il concorso per Abidjan (1979) ed il concorso per il Parco de La Villette (1982). In tutte queste occasioni Porcinai si dimostrò ormai nel pieno della sua maturità.
Gli aretini amano affermare che i giardini della stazione, popolarmente chiamati “giardinetti”, siano stati opera sua. Consideriamo però a questo punto, e i conti son facili da fare, che al momento della loro progettazione (il Tafi scrive che era il 1927), il grande paesaggista aveva solo 17 anni, ed era seduto sui banchi di scuola per diventare perito agrario. Scrive la figlia Paola: “…nei progetti per i giardini della stazione e il riordinamento del Prato della Fortezza ad Arezzo (1930-37) mio padre proponeva la trasformazione di un giardino tardo vittoriano, in chiave moderna, ma con una intonazione monumentale e classica piuttosto marcata”.
Ma si sa, noi aretini amiamo attribuire al Vasari un acquedotto che fu costruito molto tempo dopo che lo stesso era morto (era una sua idea è vero, ma solo una idea), quindi perché non attribuire al Porcinai i giardinetti, anche se lo stesso era ancora poco più di un ragazzo e per giunta poco ascoltato? Vero che molti anni dopo, fu proprio lui che provò a ridisegnarne una possibile sistemazione (evidentemente non gli piacevano), ma i risultati ottenuti dagli aretini, sono quanto mai modesti.
Sta di fatto che la pubblicistica ufficiale non cita questa opera tra quelle del maestro, i tentativi di accreditarglieli sono un po’ spocchiosi e la Soprintendenza, invece di preoccuparsi dell’erba di Santo Spirito, farebbe meglio ad interessarsi delle cattedrali gotiche.
Rimaneggiati molte volte, dell’originale disegno è rimasta più o meno la forma. La parte Nord è adibita ad autostazione e sostanzialmente non c’è più. La parte Sud è in uno stato pietoso: mancando di ghiaia, ogniqualvolta piove diventa un acquitrino. La parte centrale è stata semplicemente asfaltata (e parte è adibita a pista ciclabile rossa). Le pietre che delimitavano le aiuole sono state sostituite con il calcestruzzo e le dimensioni originali non sono più quelle. L’illuminazione è in pali di cemento e lampade a pera bianche. Io che a fianco dei giardini vivo e lavoro dalla nascita, posso dire di non averli mai amati. Nè come bambino, in cui mai sono andato a giocare, nè come adulto che sempre ho evitato. Non sono attrattivi e si vivono male, infestati come sono da escrementi di piccioni ed altri volatili,
Questo spazio oggi è vissuto per gran parte dell’anno da extracomunitari e questo perché gli aretini ben si guardano dal sostare in un area ove per giunta, la concentrazione di polveri sottili e piombo è da allarme rosso. I Giardinetti, per loro natura, sono ormai buoni solo per rapidi passaggi diurni e la vita notturna, come si può immaginare, è diventata border line. Non capisco a questo punto la natura dello scandalo. Sembra che la presenza di una movida costellata di pusher, alcolizzati e tossici, sia più grave solo nella misura in cui si incontrano nei "giardinetti". Se lo facessero in altro luogo, sarebbe forse meno rilevante? Per me che ormai da tempo ho già passato il “mezzo del cammin di nostra vita”, liti tra ubriachi, risse più meno gravi, urla e schiamazzi notturni son sempre esistiti e sempre esisteranno. Tra gli adulti sono il frutto della miseria morale e materiale, tra i ragazzi il bisogno di imitare quelli più grandi, ma senza vincoli di classe. E le scazzotate nei giorni della giostra, sono solo il frutto della pochezza umana.
Esistono precisi reati per tutto ciò, reati che hanno una progressione nella gravità: dall’ubriachezza molesta, allo spaccio. Per riportare l’ordine, basterebbero un paio di poliziotti di quartiere in servizio notturno, per far svanire sia ubriachi che pusher, che traslocherebbero in altra sede (spostando il problema ma senza risolverlo). Certo non è un bel vedere per una città che vorrebbe far germogliare la vocazione turistica, una fila di giardinetti sgangherati e mal frequentati proprio all’uscita della stazione ferroviaria. Ma è in realtà tutta la zona della ferrovia che avrebbe bisogno di un piano delle opere come si deve. Sia di qua che di là della stessa. Sia a destra che a sinistra. Scali merci impresentabili, capannoni orrendi e parcheggi bui, sono il biglietto da visita per gli ormai sempre più rari passeggeri che utilizzano il treno per venire nella nostra città. Non possiamo dare invece conto della visione del problema da parte del questore, poichè questa testata non è tra quelle accreditate, ma avendone letto i resoconti, posso solo aggiungere che confidiamo in una pronta e rapida soluzione da parte degli organi di polizia.
«Per vigliaccheria o per denaro la maggior parte degli architetti ha abbandonato il mondo delle cose costruite in armonia con la Natura, consentendo che sorgessero brutte città e orribili periferie.
Spetta all’architetto paesaggista trovare rimedio a questa situazione, ma deve essere qualcuno che sa pensare prima di agire…..Affinchè in questo mondo non si diffondano la bruttezza e la distruzione e il gusto per il bello possa affermarsi; il futuro ha bisogno di architetti che siano coraggiosi fautori dell’ “archè” e armati di tutti gli aspetti della “technè” che operino come autentici maestri sulla scia degli insegnamenti di S.Francesco d’Assisi.» Pietro Porcinai

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